Le nostre origini: 21 aprile 753 A.C. “nascita di Roma”..di Francesco Fiorini

Narra la leggenda che il principe Enea, figlio del mortale Anchise e della dea Venere, sfuggito dalla sua patria Troia, distrutta dai Greci, dopo un lungo e difficile viaggio
raggiunse l’Italia approdando, dopo varie avventure, sulle coste del Lazio; qui sposò Lavinia, figlia del re Latino, e fondò una città che, dal nome della moglie, chiamò Lavinio.
Dopo la morte di Enea, suo figlio Ascanio (o, con altro nome, Julo), decise la fondazione di un altro centro sulla costa del monte Albano che, dal luogo, prese il nome di
Alba Longa. Su questa città regnò Ascanio e dopo di lui i suoi numerosi discendenti; uno di essi, Proca (il ventinovesimo della serie), generò Numitore e Amulio, lasciando
al primo, maggiore d’età, l’eredità del regno. Ma Amulio, ambizioso e violento, usurpò il regno cacciando Numitore ed eliminando i figli maschi del fratello, possibili
pretendenti al trono. Risparmiò solo la nipote, Rea Silvia, ma la costrinse a entrare tra le sacerdotesse della dea Vesta; poiché queste erano obbligate alla castità, pensava
in tal modo di impedirle ogni possibilità di prole.
Un giorno Rea Silvia, mentre lungo le rive del Tevere era intenta a raccogliere fiori per l’altare della dea, fu presa dal sonno. In sogno le apparve un giovane bellissimo,
che le rivelò di essere il dio Marte e le annunciò che era stata prescelta per una grande missione.
Svegliatasi dal sonno, Rea Silvia corse agitata a casa, raccontando il sogno alla sua nutrice, che la consolò dicendole che era stata sicuramente scelta dagli dèi per qualcosa di prodigioso. E infatti, nove mesi dopo, partorì due gemelli, di cui – ella disse – il padre era proprio il dio Marte; essi furono chiamati Romolo e Remo.
I gemelli e la lupa Il crudele zio Amulio accusò Rea Silvia di essersi unita con un mortale e di non avere rispettato l’inviolabile obbligo della castità; la fece perciò imprigionare e ordinò
che i gemelli fossero posti in una cesta di vimini e abbandonati alla corrente del fiume Tevere, in modo che andassero incontro a una morte sicura. Ma gli dèi avevano stabilito diversamente; proprio in quei giorni il Tevere, straripando, aveva formato delle stagnanti pozze d’acqua; in una di esse i soldati di Amulio lasciarono i bambini e se ne andarono
pensando che essi, indifesi com’erano, sarebbero presto morti. Invece le acque poco profonde lasciarono in secco, vicino a un albero di fico, il canestro galleggiante che conteneva i
due gemelli; una lupa assetata, scesa dai monti, fu attirata dai loro vagiti, si avvicinò e con premura materna porse le mammelle per allattarli.
Un pastore del re, di nome Faustolo, passando da lì, rimase stupito nel trovare la lupa intenta a lambire dolcemente i bimbi con la lingua. Sapendo che dei neonati di sangue reale erano stati da poco esposti per ordine del re e comprendendo che si erano salvati per volere degli dèi, decise di portarli nella sua abitazione, sulla sommità del colle Palatino e di affidarli alla moglie Acca Larentia perché li allevasse.


I gemelli crebbero forti e robusti; aiutavano Faustolo nella cura delle stalle e degli armenti, ma amavano soprattutto girare liberi per i boschi, cacciando le belve feroci e lottando contro briganti cui sottraevano il bottino per spartirlo con gli altri pastori; con questi, che li seguivano sempre più numerosi, si dedicavano alle attività e agli svaghi tipici della loro età.
Durante la festa dei Lupercali i briganti, per vendicarsi delle aggressioni subite, catturarono Remo e lo consegnarono ad Amulio, accusandolo di aver occupato illegittimamente le terre di Numitore e di averli depredati insieme alla sua banda. Così Remo venne condotto da Numitore per essere punito.
Romolo, scampato all’agguato dei briganti, corse ad avvertire Faustolo dell’accaduto; questi, data la gravità della situazione, svelò al giovane tutta la verità circa il ritrovamento. Nel frattempo anche Numitore cominciò a nutrire dei sospetti; i briganti gli avevano infatti detto che i colpevoli delle razzìe erano due fratelli gemelli, e il re, riflettendo sull’età e sull’aspetto tutt’altro che servile del ragazzo che aveva di fronte, si ricordò dei nipoti esposti e fu sul punto di riconoscere Remo. Proprio a questo punto Romolo dette l’assalto alla reggia con una schiera di coetanei e di pastori liberando il fratello; insieme essi affrontarono re Amulio e lo uccisero. Numitore rivelò allora a tutta la gente che era accorsa l’origine regale dei nipoti e i gravi misfatti del fratello, cosicché fu acclamato da tutti come nuovo re di Alba Longa.

Ristabilito lo zio sul trono, Romolo e Remo decisero di fondare una città che potesse accogliere l’ormai numerosa popolazione degli Albani e dei Latini. Tra i gemelli nacque
però subito il problema di chi doveva dare il nome alla città e regnarvi. Decisero allora di seguire il volere degli dèi, interpretando i segni augurali; per prendere gli auspici Romolo salì sul colle Palatino, Remo sull’Aventino.


Per primo Remo scorse sei avvoltoi; ma, dopo aver annunciato l’auspicio ed essere stato acclamato dai suoi sostenitori come nuovo re, sopraggiunse la rivelazione di Romolo che
aveva visto dodici avvoltoi. In considerazione del numero maggiore di uccelli avvistati, si ritenne re e come tale fu salutato dai suoi. Dalla animata discussione che ne seguì col
fratello, si passò ben presto allo scontro, nel corso del quale Remo trovò la morte.
Esiste anche un’altra tradizione secondo cui Remo, in atto di spregio, varcò il solco quadrato che Romolo aveva appena tracciato con l’aratro per segnare il perimetro delle nuove mura, gridando: “Sono facili da espugnare, fratello, le mura della tua città!”;al che Romolo, infuriato, avrebbe colpito a morte il fratello replicando: “Così in futuro muoia chiunque altro oltrepasserà le mie mura”. In ogni caso, Romolo rimase l’unico signore della città, alla quale diede il nome di Roma. Era il 21 aprile del 753 a.C., data a partire dalla quale i Romani calcolarono il tempo della loro storia.

Francesco Fiorini (Ass.Promo-Terr)

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