La “BADIA” di Camaiore (i nostri Monumenti)…di Giovanni Scarabelli

Li han chiamati “secoli bui” e mi sono chiesto sempre il perchè, partendo dal presupposto che nella storia non vi è mai nessun progresso senza radici e che gli avvenimenti più diversi sono sempre sotto il segno di una copiosa continuità. Queste considerazioni riemergevano in me mentre, seduto su di un gradino del portale d’ingresso della cinta di recinzione, e volte le spalle alla strada, gustavo il sottile fascino della Badia dei SS Pietro e Paolo di Camaiore.

Non credo proprio d’essere nostalgico d’andati tempi, ma non riuscivo neppure a reprimere un pò il fastidio per quel “buio” riferito a secoli che sono riusciti a produrre – e siamo del Mille e pochissimo dopo, stando almeno ai documenti citati da Paolo Dinelli nella sua magnifica Storia di Camaiore dall’epoca preromana ai primordi del Cinquecento- opere, come quella che ho davanti, presenti in borghi allora insignificanti. Da questi “secoli bui” mi giungono voci di singolare operosità, di chiara concezione della vita, di essenzialità di valori, di cultura nel senso più profondo del termine, cioè di partecipazione corale alla concezione e costruzione dei luoghi del vivere quotidiano, di armonia pur nella durezza di ogni giorno, nella povertà e nella realtà di “minori” della stragrande maggioranza. E insieme l’orgoglio per quei luoghi rappresentativi di tutti, “propri” nella pregnanza dell’aggettivi. Queste pietre ruvide e dure come gli eventi, ma piegate e dominate dal lavoro, collocate con intelligenza secondo una concezione architettonica scarna ma estremamente espressiva, frutto sì di tecnica ma insieme d’indiscussa intuizione d’arte. E restan lì, ancor oggi, a sfida del tempo e dell’oblio a dirci l’amor di chi ha creduto – nell’anonimato e nella fedeltà feriale – che comunque il proprio nome è “scritto nel libro della vita“. E resta lì…Il pensiero mi scivola oltre la Badia, come un pò più in là, ad un paio di chilometri dove un’altra chiesa romanica, quella di Gello vicino a Lombrici, sta miseramente crollando (il tetto in gran parte non c’è più e piove all’interno, rovinandosi con l’acqua quanto vi era ancora di testimonianza dell’antico monastero benedettino femminile) fra l’indifferenza e l’incuria generale perchè è “propietà privata“.

Mormoro a fior di labbra: un popolo che non ama il proprio passato è un popolo già morto. E neppure l’eco, che la suggestione del luogo mi provoca del canto dei monaci me delle preghiere delle genti di cui quelle pietre sono da dieci secoli intrise, riesce a scacciare l’amarezza che mi serra l’anima in uno stupendo pomeriggio d’un giorno d’aprile che parla di vita e di risurrezione.

Devo, così, farmi violenza se voglio entrare nella Badia e superare lo stato d’animo che m’ha preso. La penombra della chiesa m’avvolge di colpo, rotta solo dalla luce filtrata dalle cinque monofore della fiancata e dalle tre dell’apside: “lux intenebris orta est” ..una luce ha spezzato le tenebre. Non la luce dell’incendio che la soldataglia al soldo di Marco Visconti ha appiccato al complesso nel 1329 minacciandolo di completa distruzione. Ma la luce di un Uomo che “morendo ha distrutto la nostra morte“. E questo mi aiuta a riconciliarmi con me stesso e con gli altri uomini nonostante le amarezze che possono carattterizzare queste poche righe. Così, uscendo, par che mi sorrida – nel dolore che è di tutti – la Madonna della Pietà di scuola giottesca ch’è dipinta sulla prima colonna di sinistra della navata, saluto a che entra e chi esce, donandomi quel tocco finale che mi fa riprendere, rappacificato, il consueto cammino.

Monsignor Giovanni Scarabelli

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