L’Io nel noi e il noi nella natura come “paesaggio”
Il rapporto uomo-natura non può essere considerato alla stregua di un semplice “in-trattenimento”: esso denota piuttosto un processo, una direzione, certamente una meta globale.
L’essere umano (almeno in Occidente) vive di linearità, nello spazio come nel tempo: questa linearità, inserendosi all’interno della ciclicità naturale, diventa tanto “evento” che “progetto”, diventa “forza motrice”.
Soltanto dando voce al collettivo che è presente sul fondo di ciascun individuo singolarmente inteso è possibile attivare nel modo più completo e pervasivo tale forza motrice. Ora, il rapporto uomo-natura non può tuttavia essere interpretato come un presunto “ritorno alla natura”, ovvero ad una datità originaria, anche per il solo fatto che con questa espressione, storicamente, si è cercato di dar voce più a forme di romanticismo che di realismo o piuttosto di pragmatismo.
Di fatto non esiste un equilibrio “originario” della natura che l’essere umano dovrebbe cercare con ogni mezzo di ricostruire: esiste piuttosto la “biodiversità”, la cui tutela si pone oggi come uno dei compiti principali per le future generazioni. Gli ecosistemi sono appunto sistemi complessi, in molti casi anche fragili: devono essere salvaguardati con attenzione: devono rientrare nel “progetto”. L’esercizio storico della forza umana nella natura ha portato ad una sua trasformazione radicale, se teniamo conto della trasformazione della natura in “paesaggio”, testimonianza vivente del lavoro esercitato dall’essere umano sulla natura, a tal punto che possiamo distinguere diversissime forme di paesaggio: storico, culturale, industriale, naturale e così via.
Il loro comune denominatore è il lavoro: sia quello artigiano di un tempo sia quello industriale all’interno delle società avanzate.
Il paesaggio con queste caratteristiche non fa soltanto da “cornice” all’attività umana ma ne è parte integrante, perché il paesaggio interagisce con noi nel tempo, modificandosi e modificandoci. Una società che non tutela il paesaggio è una società nichilistica che genera al suo interno esclusivamente forme di pessimismo antropologico. Il paesaggio rappresenta la sintesi vivente di natura e cultura: il paesaggio è il trionfo della “complessità” come paradigma antropologico. I filosofi greci osservando la natura scoprirono l’uomo. Nell’età moderna basta citare i nomi di Goethe e Schiller per ricordare fino a che livello di massima profondità sia giunta l’osservazione poetica e poetante della natura e del paesaggio: una grande attitudine estetica destinata a condizionare non marginalmente anche lo stesso progresso delle scienze empirico-naturali come la biologia, la chimica e la fisica. Senza dimenticare il ruolo decisivo che svolge in questo caso anche la stessa matematica.
Insomma, il paesaggio come processo “vivo”, il cui motore è la curiosità, non favorisce soltanto la vita contemplativa ma anche quella attiva. È per questa ragione fondamentale che l’io arriva a riconoscersi nel “noi” (“Das Ich im Wir”: cfr. Hegel) soltanto nella forma del “paesaggio” e non soltanto del semplice meccanismo. Certo, il paesaggio come processo storico include a pieno titolo anche il meccanismo, la semplice ripetizione, ma nel contempo impone alla natura la ferrea logica della “trasformazione”, della legge, in modo da sottrarre il fenomeno (non solo naturale ma anche sociale) alla intempestività.
È nel paesaggio ed attraverso il paesaggio che l’ente “accade”, ma è grazie all’intervento etico umano che tale accadere non si risolve in una semplice (e altrettanto drammatica) Geworfenheit: soltanto in uno scoprirsi “gettati” (Heidegger) nella intempestività. Il paesaggio esorcizza questa intempestività condizionata non marginalmente sia dalla dispersione che dall’accelerazione temporale, diventando il luogo e il tempo del senso umano e dell’opportunità progettuale che trascende facilmente la stessa condizione umana: proprio in quanto il paesaggio è frutto di un lavoro estetico ed etico, non riduttivamente economico.
Grazie al paesaggio l’anthropos riscopre lo spazio ed il tempo umani: è attraverso il paesaggio che viene tracciata la via della saggezza, integrando così la vita attiva con l’attività superiore del Geist, dello “spirito”, affinché gli uomini attivi, concludendo con Nietzsche, non si limitino soltanto a rotolare come pietre, “con la stupidità del meccanismo” (Umano, troppo umano I, aforisma 283).
Riccardo Roni (filosofo)